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borghi, alto sui caschi delle guardie come un santo di le-
gno e la bella mano affusolata che, passando così in pie-
di nell automobile, allungava al di là del suo cordone
protettivo, sfuggiva come una farfalla sotto il naso di
quella povera gente.
«Nemmeno il tempo di baciargli l anello» diceva la
Viola. «E non ci guarda in faccia, niente...» Per la verità,
arrivava e ripartiva, forse perché gli bastava dire a se
stesso: almeno ci sono stato. Persino la messa che si can-
tava nella parrocchia più maledetta d Italia, come l ave-
va definita il Farinacci, veniva fatta di corsa, con il Vica-
rio che badava, però, a non stonare, e ad arrampicarsi su
quegli acuti che si levava dallo stomaco fino all esauri-
mento del respiro, per salvare almeno la faccia con quel-
la gente che l opera ce l aveva nel sangue e una stecca
poteva prendersela persino come un offesa.
Martinolli era così, ma non era né sciocco, né di cieca
malafede. Capiva la solitudine, e la pena, che si diffon-
devano intorno a lui dall introibo in poi, anche se non si
trovava più la forza di vincerle; e sapeva benissimo cosa
passava in quegli uomini, in quelle donne, persino in
quei ragazzi, che lo seguivano con occhiate sospettose
nel suo affaccendarsi intorno all altare.
Sapeva che mentre pregava Cristo a nome loro, che
mentre implorava pietà per loro, e persino mentre alza-
va l ostia sopra la sua testa di capelli ben curati, loro
pensavano che li detestasse, che dicesse ora pro nobis
mettendoci del malaugurio. E ne provava un umiliazio-
ne, che poi gli rimaneva addosso, che lo feriva profon-
Letteratura italiana Einaudi 45
Alberto Bevilacqua - La califfa
damente, perché non era vero, perché era soltanto la
convinzione rassegnata e amara che un dialogo diversa-
mente ispirato sarebbe stato inutile quanto arduo, ad in-
durlo a comportarsi in quel modo.
L inutilità di tutto, delle parole, delle prediche, dei
sorrisi: ecco la ragione, che non gli attenuava un senso di
colpa, le cui origini andavano cercate in anni remoti, e
che non differiva sostanzialmente dal sentimento che
s impadroniva degli altri ammassati sui banchi, venuti
fin lì più per riaprire un discorso mentale col Martinolli,
che per ascoltare una messa cantata.
Era colpa di quella gente, infatti, se il Martinolli era
rimasto Vicario, e se a Roma c era sempre un conto
aperto con lui, per il quale ancora si agitavano minacce
più o meno dirette, pressioni, ammonimenti. Fastidiose
complicazioni che, come gli avevano guastato la matu-
rità, ora gli guastavano una vecchiaia che il Monsignore
avrebbe voluto godersi in pace, possibilmente in quella
casa di campagna che aveva sul Po e che era tutto un
profumo di vacche grasse e di culatelli.
Avrebbe voluto finire i suoi giorni laggiù dov era ve-
nuto al mondo, dov erano sepolti suo padre e sua ma-
dre, lungo quella straducola di campagna che lui, giova-
ne prete, aveva preso pensando di arrivare chissà dove.
E invece s era fermato alla prima stazione, solo qualche
chilometro più in là.
Con piccoli peccati di gola, con buoni favori ricambiati
dagli industrialotti che gli reggevano il baldacchino, egli
avrebbe potuto dolcemente morire, se non ci fosse stato 
tarlo, pignolo come sanno esserlo certi preti funzionari 
quell altro Monsignore di Roma, il quale, quando saliva a
Milano, evitava di prendere il rapido solo per far sosta in
quella città, e chiacchierare con il Martinolli.
I soliti quattro passi in piazza, prima di andare a man-
giare insieme, i soliti cordiali richiami a tanti doveri
d ufficio che un religioso di punta deve tenere presenti
Letteratura italiana Einaudi 46
Alberto Bevilacqua - La califfa
in una terra difficile. Di questi doveri, il Monsignore di
Roma operava rapidamente una selezione, e cadeva in
certe caute allusioni, come se fossero trascorsi non molti
anni, ma solo pochi giorni, da quando il Martinolli era
stato invitato a prendere posizione, «con carità ma con
fermezza», con quei «fiori spinoni che potevano trasfor-
marsi in gigli», come l altro sosteneva.
«E allora, amico mio...» chiedeva mezzo scherzando il
Monsignore di Roma «quando estirpiamo questo gine-
praio, eh, quando lo estirpiamo?...»
Per tutti quegli anni, il Martinolli s era limitato ad al-
largare le braccia e a recitare una parte, e cioè a rispon-
dere con dei  farò e dei  vedrà di cui non era troppo
convinto, arrampicandosi sugli specchi con frasi come: [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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